Rancho Comancho

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Perché

Non c’è un perchè all’esistenza di Rancho Comancho. Come in molte cose della vita non è importante sapere il perchè. Anzi, a Rancho Comancho pensiamo che il mistero sia necessario almeno quanto la conoscenza.

Per questo cerchiamo di imparare il più possibile sui cavalli e su noi stessi, insegnado per imparare di più, senza preoccuparci del perchè lo facciamo. Già il plurale è un errore. Ciascuno è e diventa ciò che vuole, singolarmente. Poi, da soli e insieme, facciamo delle cose.

Cerchiamo di farle bene, di sapere chi siamo nel farle e di fare attenzione a chi ci sta attorno. Ognuno di noi cerca di farle bene, di sapere chi è e di fare attenzione a chi gli sta attorno.

Ci interessano i cavalli e ciò che sono stati e sono in rapporto all’umanità. Ci interessano i valori degli Stati Uniti d’America. Ci interessa la storia di un popolo che è diventato tutt’uno con il cavallo e non è mai stato assimilato o sconfitto singolarmente.

Ci interessa il passato che stiamo lavorando a diventare e il futuro che ci consentirà di esserlo.

Non c’è un perchè, né ce ne sono tanti nella loro infinità.

Questi credono che ci sia un perchè per fare una cosa, quelli un’altro per farne una diversa.

A noi interessa essere completamente ciò che saremo, soli nel nostro cavalcare insieme.

Perciò, tra questi e quelli, saremo sempre gli altri


Che cosa ne pensate?

I tanti perchè di un club

Per la maggior parte dei suoi oltre vent'anni, Rancho Comancho è stata un'idea e basta, resa reale dalle persone che ci stavano dentro, intorno, attraverso. Nato sul finire del 1989 a Caprigliola sulle Alpi Apuane, Rancho Comancho ha cercato di insegnare a centinaia di persone una strada vecchia come il mondo, quella percorsa da uomo e cavallo insieme. Ciascuno al suo posto, enormemente diversi, ma insieme, in qualche modo necessari gli uni agli altri, uomini e cavalli. Niente romanticismi né pietose bugie sull'intelligenza del "nobile destriero", ma nemmeno immotivata violenza o stupida e presunta superiorità. Niente di nuovo, niente di diverso di quel che accade tra esseri umani, con la sola complicazione di lingue, realtà, percezione del mondo completamente diverse. Verrebbe da dire incompatibili, ma non è così, come la storia pratica e quella scritta, da Senofonte in poi, ha dimostrato.
Andare a cavallo significa diventare cavalieri e questo, volenti o nolenti, crea un mondo diverso, fatto di attenzioni, riti, necessità, cultura, forza, delicatezza, durezza... Verrebbe da scrivere una parola abusata e inabusabile, zen: forse il cavaliere lo è davvero, permeabile e impermeabile, opaco e trasparente.
Si capirà bene che con questo atteggiamento mentale Rancho Comancho non avrebbe mai potuto essere un maneggio. Si vogliono formare cavalieri, non clienti. Visione del mondo, regole condivise ma inflessibili, attenzione ai particolari, studio e applicazione al solo fine di essere cavalieri. Certo: risate, divertimento, avventura, mangiate, racconti ed eccitazione prodotti dalla forza e dalla velocità dell'animale che si diventa, insieme, cavallo e cavaliere. Ma consapevolezza dei propri limiti, del proprio aver bisogno dell'altro, della propria inevitabile solitudine.
Rancho Comancho, come avrebbe potuto essere un maneggio?
Din dal nome, scelto per farsi ricordare e per ricordare. Asincrono rispetto al mondo in cui si vive e insieme ossimoro storico dell'essere scuola di uno stile di monta creato da chi ne ha distrutto l'origine, i Comanche, Nemenah, il popolo guerriero che da solo ha tenuto in scacco per oltre cento anni Spagna, Messico, Francia e Stati Uniti, oltre che tutte le altre nazioni indiane del Sud Ovest: Un popolo guerriero, agli occhi dell'Occidente orribilmente crudele, che non conosceva il verbo arrendersi, ma che in pochi decenni aveva imparato dei cavalli tutto quello che il mondo aveva impiegato millenni a capire. Un popolo senza scrittura, senza governo, senza leggi, capace di uccidere e sterminare, ma anche di accogliere chiunque nel suo grembo come parte di sè...
Come poteva Rancho Comancho essere un maneggio?
Nei suoi oltre venti anni di storia, si diceva, è stato ciò che faceva: scuola di centauri, centro di addestramento alla doma etologica, centro culturale, organizzatore di grandi feste insieme all'altrettanto inesistente e presente Tex Willer, luogo di raccolta e fuga per scrittori, muscisti, intellettuali, sportivi, tutta gente che lavorava anche in quasiasi campo della pratica quotidiana ma che a Rancho Comancho era, e basta.
Adesso Rancho Comancho ha anche un nome e cognome su una carta di identità: è una associazione senza fine di lucro, ha una partita IVA, ha i caschi per i bambini e le tessere del CONI e anche gli attestati tecnici di questo e di quello.
Attenti, però, perchè l'abito non fa il monaco.
Quanah Parker, figlio di un Comanche e di una donna bianca, è stato l'unico "grande Capo" dei Comanche, diventandolo quando già vestiva come i bianchi, viveva in una casa in legno e muratura. Parlava l'inglese e veniva visitato da Senatori e Membri del Governo USA, lo stesso i cui uomini aveva massacrato per anno difendendo la sua, la loro, idea del mondo.
E nessun trattato di pace è mai stato firmato con un popolo, come i Comanche, che non è mai stato uno, ma ognuno.

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