Un solo paese al mondo ha iscritto la ricerca della felicità tra i diritti fondamentali dei suoi abitanti: gli Stati Uniti d’America. Non sta scritto da nessuna parte che sia facile, che sia gratis, che sia data per acquisita. Anzi. La felicità è come la libertà, di cui un anarchico spagnolo diceva che “va conquistata al suo prezzo: non bisogna rassegnarsi a viverne senza”.
Qualcun altro ha scritto: “non è vero che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri: la mia libertà comincia dove finisce quella degli altri”. Ciascuno è chiamato a difendere la propria, così come ad accettarne i limiti.
I Comanche non hanno mai scritto qualcosa del genere: hanno vissuto così. Forti solo dei loro cavalli e della loro aggressività, hanno combattuto per la loro libertà, impedendo per decenni agli Stati Uniti di completare la conquista del continente. Gli stessi Stati Uniti che hanno poi così spesso combattuto per la libertà di altri paesi, compreso il nostro.
Per noi non c’è contraddizione nell’onorare il nome dei Comanche e insieme nel diffondere la cultura di chi li ha sconfitti. La via da percorrere è la stessa, non importa chi la segua e a che punto egli si arresti o venga fermato.
Nella lingua Comanche il verbo arrendersi non esiste.
Nemmeno nella nostra.